mercoledì, febbraio 07, 2007

Intervista a Riccardo Ruberti

Voglio pubblicare questa intervista che ho realizzato un paio di anni fa con Riccardo Ruberti, giovane pittore livornese che apprezzo veramente, e non solo perchè è un caro amico. Il tema dell'intervista fu la fotografia, ma ne sortì fuori un interessante e imprevista discussione sull'arte, anche grazie all'amico Tiziano Angri.


Arrivo al suo piccolo studio in un quartiere poco raccomandabile di Livorno. Una piccola stanza, senza riscaldamento, difatti Riccardo sta dipingendo coi guanti. Entrarci è come fare un tuffo di testa nell’arte di Riccardo. I quadri sono appesi ovunque, ammassati sulle pareti per la mancanza effettiva di spazio. Ritraggono un mondo minuscolo, fatto di insetti, esseri marini, foglie, il tutto immerso in un atmosfera sospesa, luminosa, resa grazie ad un tratto esperto, minuzioso, quasi maniacale. Da una parte ci sono anche i quadri del ciclo dei secchi coi riflessi che avevo visto sulla rivista. Riccardo lascia il quadro di una mantide religiosa che sta preparando e andiamo a berci un caffè.

Allora Riccardo. Cosa fai con la fotografia, quali sono i tuoi soggetti?
I soggetti che scelgo sono quelli che mi fanno comodo per ciò che faccio con la pittura. Ultimamente ho fatto diverse fotografie, o meglio macrofotografie, di insetti. Prevalentemente sono molto piccoli, ma andando ad ingrandire l’immagine si possono scoprire molti dettagli che l’occhio da solo non vede.
Che strumenti usi?
Utilizzo un obiettivo macro e uno zoom, montati su una macchina Reflex.
Quindi preferisci il supporto analogico?
Si. Ho un modello degli anni 70. Credo fermamente nell’uso del manuale. Come pellicola, come qualità di stampa per il dettaglio il manuale è superiore. Il digitale tende invece a sgranare troppo. Per chi fa pittura soprattutto, e vuole fare un album delle proprie opere è preferibile senza dubbio il supporto analogico per la resa del dettaglio e del cromatismo.
Ma tu utilizzi la fotografia proprio per la realizzazione delle tue opere? In che modo?
Beh questo è un piccolo segreto! No scherzo. Le fotografie che faccio io in pratica sono delle diapositive che poi con l’uso di un proiettore proietto sulla tela. A questo punto procedo a rielaborare l’immagine. Una pratica questa che fa parte un po’ della nuova figurazione degli anni 60-70, ma anche in quella che continua nel ventennio successivo.
Ah quindi ti piacciono artisti come Vespignani?
Esattamente. Amo molto Vespignani come pittore e comunque anche per la sua poetica e il suo pensiero. Ma anche mi piacciono molto Cremonini, Martinelli, Ferroni e tutti quelli a cui si tende a dare il nome di Nuova Figurazione. Mi piace molto questo modo di procedere, lascia libero spazio all’interpretazione, qualsiasi sia il soggetto.
Anche per quanto questo sia piccolo…
Certo. Non è facile cogliere subito questo binomio. Nel mio lavoro la fotografia e la pittura si compensano molto bene: si comprendono e si compensano.
E per i tuoi soggetti lavori seguendo dei cicli? Ricordo che le prime tue opere che ho visto erano una sorta di studio sui riflessi in rappresentazioni di secchi pieni d’acqua.
Si, mi piace fare delle indagini, un po’ come il detective di un film noir! Il mio lavoro segue varie fasi. E la prima fase è senza dubbio quella dell’indagine in cui l’occhio tende più a soffermarsi su di un certo tipo di soggetto. L’approccio è di tipo figurativo. Nel senso che comunque osservo tutto l’oggetto. Invece nella seconda fase dell’indagine l’occhio tende a spostarsi, come fosse una telecamera, e si può soffermare su certi dettagli come la struttura: muscolare o vegetale per fare qualche esempio. È un tipo di osservazione che include ogni cosa. Non esclude nulla. È dal particolare che si cerca di cogliere… l’universale forse. Questo si può leggere anche in chiave filosofica se vogliamo.
Bisogna saper vedere.
Esatto. Apparentemente non si dovrebbe trarre nulla dall’osservazione di un secchio pieno d’acqua. Bisogna saper vedere, in maniera semplice, senza preconcetti. Riprendendo anche ciò che dicevano certi poeti come Montale ad esempio..
Infatti le tue parole mi hanno fatto ripensare subito a Montale. Agli alberi di limoni…
Esattamente. Amo molto Montale. Ricerco quello stesso modo di guardare semplice, quasi primitivo. Qualcosa di personale che viene da un modo personale di vedere le cose. Ciò che faccio io è una sorta si di figurativo però interpretato. Cercando sempre di far uscire ciò che ho dentro io. Alle volte poi non è detto neanche che debba esserci un messaggio a priori. Il messaggio può venire anche durante o addirittura dopo. Dico questo perché credo che sia proprio dal fare pratica che a volte si può dedurre il fare teorico. Invece in molti oggi pensano tutto il contrario. Pensano di arrivare al concettuale partendo dal concettuale. Non credo che possa essere vero. Tutta la mia pittura e la mia fotografia parte da questa idea di ricerca nel reale. Come addirittura dal fondo di questa tazzina di caffè credo possa nascere un pensiero.
Quindi ti capita spesso che un’idea nasca mentre già la stai realizzando?
Si. Parto solitamente con degli studi. Questi studi poi sovrapponendosi creano degli strati: sia strati concreti, di pittura o di disegno, ma anche strati mentali. Il pensiero si stratifica. Anche certi dettagli nella memoria vengono a sovrapporsi e ad aggiungersi a questo pensiero primario da cui sono partito. Come ho detto la mia è un indagine sull’esistenza… con ogni mezzo. Tutto è buono per creare un opera d’arte. Bisogna saperlo riconoscere. Credo che per questo l’indagine sulla realtà sia la cosa primaria. Tutto ciò che faccio viene da questa osservazione, anche se poi questa osservazione verrà filtrata dal mio pensiero o dai miei stati d’animo.
Allora l’uso della macchina è unicamente per un fine pittorico o alle volte anche a scopo puramente fotografico?
Beh credo che alcune mie fotografie possano comunque esistere da sole, a meno che io non aggiunga qualcosa col colore, hanno già vita propria. Nel mio fare pratico la fotografia tende a influenzare molto il dipinto che scaturirà dopo. Nel momento dello scatto si blocca un certo stato d’animo, un certo volto, un comportamento. Si blocca l’immagine di modo che io la possa interpretare. Il processo è piuttosto semplice detto a parole.
(Interviene l’amico Tiziano) Se si pensa che quando è nata la fotografia in molti ritenevano che avrebbe ucciso la pittura, vedere come oggi ne sia divenuta un mezzo a tutti gli effetti: è quasi paradossale. Anche già solo il fatto di dover scegliere una fotografia è qualcosa di personale e soggettivo, selezionarne una tra i miliardi di possibilità, isolarla e contestualizzarla nella propria arte è già di per sé una operazione creativa. Questo processo di contestualizzazione del quotidiano ce lo hanno insegnato i dadaisti. Anche se in quello che facevano erano ludici…
Non ci avevo mai pensato a questa cosa dei dadaisti… è vero. Prendere ciò che ci sembra scontato e dargli un altro significato, un tuo significato.
Per quanto riguarda la figura umana. L’hai affrontata?
Naturalmente.
Hai intenzione di riprenderla prima o poi?
Si, certamente. Quando avrò terminato questo discorso che sto portando avanti adesso..
Trattavi la figura umana anche nelle fotografie?
Certo, è una cosa importantissima. E’ fondamentale affrontarla, i volti, il comportamento, il movimento.
Ho proprio intenzione tra qualche tempo di fare fotografie in giro. Alle persone, ai volti. Magari con uno zoom abbastanza lungo, come quello dei giornalisti per coglierli a loro insaputa.Al massimo della naturalezza.
(T) Bella idea questa. Perché nel fare ritratti viene spesso il desiderio di poter essere invisibili.
Si, quando uno si sente osservato tende comunque a mascherarsi, diventa quasi meccanico nelle azioni.
Quali sono i tuoi modelli di fotografi?
Beh guardo più al passato: vabbè i soliti grandi: Hewitt, Capa, Sciana e comunque un po’ tutti quelli che giravano intorno all’agenzia Magnum. Quelli ci credevano veramente e avevano coraggio. Veri reazionari.
Pensi di esporre le tue foto?
Si penso di si. Tra l’altro ho già esposto qualcosa in passato, beh in occasioni piccole, comunque..
Neanche le avevo realizzate per esporle, le avevo fatte per dipingere e poi…
E l’idea di esporle insieme ai quadri, l’hai mai considerata?
No, non penso di farlo. E’ una cosa che non andrebbe mai fatta. Comunque sarebbe una cosa interessante per quando il mondo sarà migliore..ah ah. A parte gli scherzi, sarà possibile quando il modo artistico capirà finalmente che la fotografia all’arte figurativa serve, come serve all’arte astratta. Per ora non lo capisce nessuno, la società è ancora impreparata.
Spesso viene mal visto l’uso del proiettore, ma io ritengo che se ne possa fare un uso molto molto intelligente. Anche nel passato se vai a vedere, Caravaggio usava la camera oscura.
Sta tutto nel sapere usare la cosa. Serve moltissimo all’interpretazione. Ma la gente, i galleristi soprattutto non sono preparati da questo punto di vista. Gli hanno insegnato a vedere male la cosa.
Se non c’è la mano e il cervello, anche col proiettore puoi fare delle grosse schifezze. Bisogna cambiare il modo di vedere. Questa è la chiave per far nascere una nuova pittura, che lo sia davvero.
Purtroppo in Italia e anche all’estero siamo sempre meno che la vediamo così.
(T) Si è spenta proprio la pittura.
Nell’arte ci puoi cercare tutti i messaggi o i pensieri che vuoi, ma prima è una cosa che ti piace fare. Puoi anche dare un messaggio, ma deve nascere come una cosa che ti scivola via facile. Un’artista ha bisogno di fare quadri come una mamma c’ha bisogno di fare un figliolo.
(T) Comunicazione relativa.
L’unico messaggio è quello di ritrovare il semplice. Questo è quello che vuole esprimere l’ultima mostra che sto finendo di preparare. Insetti, vita fuori e dentro l’acqua…ritrovare l’armonia, anche nel contatto con la natura stessa. Nelle città questo lo perdiamo giorno per giorno, c’è troppo ferro in giro. Diventa sempre più difficile essere semplice.

Nessun commento: